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suoi, giù uomini della gleba, ma oramai disavvezzi al lavoro dei campi.
— Concedo; — rispose quell’altro.
— Quanto al Matto.... — ripigliò il canonico, animato dalla concessione. — Quanto al Matto, io penso....
— Pensa pure che non conti nulla; — interruppe il visitatore ciarliero. — Quello si ferma a mezzodì.
— O allora! — gridò Ansperto, con aria di trionfo.
— Allora — rispose il contradittore — continuerà un altro, che è già iscritto tra i falciatori. Io Legio (e ti permetto anche di declinarmi in Legio, Legionis!), falcerò io il maggese, vincerò io, guadagnerò io la bianca Getruda.
— Ah sì, Legio; Legionis! — ripetè il povero prete, crollando melancohicamente la testa. — Il tuo nome è Legione. Ma che ti salta in capo di metterti in gara?
— Ti ho detto già che vo’ prender moglie.
— Tu, Legione?
— Io, sì, io. La gente non dice forse che