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nerio è andato dal conte, e gli ha proposto di fare quella graziosa burletta. Il conte ha riso, non ci ha visto il baco, e n’è venuta fuori quella cara pagina comitale che ha stabilita la gara dei falciatori; gara naturalissima, come una festa villereccia che si accompagna alle nozze, abbellimento di cerimonia, non atto di prepotenza. Così almeno si giudica dai più, che non vanno oltre la scorza delle cose. Dunque, io dico, la prima idea è venuta dal mio buon canonico Ansperto; ed io sento l’obbligo di ringraziarlo. Poteva nuocermi; ha preferito darmi una mano.
— Che c’entri tu, finalmente? — disse Ansperto, seccato da quella ironia continuata.
— Vuoi tu esser leale nel giuoco? La gara è da senno, o per celia?
— È da senno; che vuoi tu dire con ciò?
— Voglio dire che in questo caso vincerà il più robusto e il più pronto. E la vittoria, per conseguenza, sarà di Marbaudo.
— Lo credi?
— Ne son certo. I falciatori che ha fatto entrare in gara il castellano sono scherani