Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 140 — |
suo fermare stanza sui domini del signore feudatario, o dell’abate d’un monastero, o d’un capitolo di canonici, l’aldione si confondeva a breve andare col servo della gleba.
E tutti quei poveri censuarii che tenevano poderi o campi moventi da un castello, chiamato perciò dominante, acquistavano, per un po’ di sicurezza problematica, la più certa e la più molesta delle servitù possibili.
Un giorno erano richiesti di riparare le fortificazioni del castello; un altro di battere il grano, o di trasportare il vino del padrone; ora dovevano far guardia notturna per lui, ora ferrargli i cavalli, ora adattarsi ad alloggiare e nutrire i suoi cani.
Per far legna nei boschi, per trarre a galla i tronchi di faggio che marcivano nel fondo dei fiumi o dei pantani, per prendere i pesciolini dei borri solitarii, per ogni cosa insomma, che al padrone importasse meno, o di cui ignorasse perfino l’esistenza, dovevano pagare una taglia, un tributo.
Tenuti a lavorare per il padrone finchè luceva il sole, dal San Michele al San Martino,