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forza! e come soverchia facilmente tutte le altre ragioni, anche nell’animo di coloro che hanno per istituto di non riconoscer la forza, se non in quanto ella serve al trionfo della giustizia!

Un’altra cosa aveva notata Dodone, udendo i ragionamenti del canonico Ansperto. Il sant’uomo parlava libero e risoluto quando si trattava del conte Anselmo; stentato e dimesso quando occorreva di accennare al castellano Rainerio. Signore e vassallo, erano due padroni collegati contro i servi della gleba, ma il padrone più vicino era il più temibile, anche essendo il minore. Di Anselmo lontano e noncurante si poteva far poca stima; non così del vicino e vigilante Rainerio.

Così, anche il ministro del tempio, il consolatore degli oppressi, non che trovare nell’ufficio suo la virtù di resistere alla potenza degli oppressori, di assumere al loro cospetto la difesa dei miseri, cedeva disanimato davanti alla tracotanza dei castellani, padroni minori, oppressori di seconda mano, più prossimi e per conseguenza più gravi.