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si doveva neanche gabellarlo per l’ultimo dei calamai, come fece, in risposta al sagrestano, un canonico rivale. Era, a dirvi le cose come stavano, era un brav’uomo, che sapeva leggere nel breviario, anche quando non fosse il suo; gran cosa per que’ tempi, così poveri di amanuensi, o in cui la cartapecora costava un occhio del capo; di guisa che si usava stipar le pagine di roba, abbreviando le parole oltre il lecito e riducendo i libri sacri ad una selva di geroglifici.

Quando capitò il vecchio Dodone di Croceferrea per chiedergli udienza, il canonico Ansperto se ne stava nella sua cella, davanti ad un leggio di quercia, su cui otto o dieci codici accatastati gli rappresentavano tutto lo scibile e gli meritavano agli occhi dei profani il titolo di dotto.

Erano le Omelie di san Gerolamo, le Epistole di san Paolo, i quattro Evangelii, una grammatica di Donato, un Virgilio, e qualche libro del Vecchio Testamento.

La Bibbia, in quel tempo, correva per le mani dei fedeli a pezzi e bocconi; ed erano