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XI.
"Tra male gatte era venuto il sorco."
Qui il Giuliani badò a lavorar di fine, chè ne andava dell’onor suo; e in quella che un sorriso gli si dipingeva sulle labbra, l’anima chiamò tutte le forze a raccolta.
— Oh! siate il benvenuto, Garasso! — diss’egli, voltando a mezzo la persona sul canapè.
— Signor Giuliani, le son servo; — rispose l’altro, ma col piglio di un uomo che in cuor suo mandasse al diavolo l’importuno.
— Vi pare strano di vedermi qui, non è vero? — ripigliò il Giuliani, che non poteva lasciar passare senza nota quell’aria stupefatta e infastidita del Bello.
— Ma sì, veramente, un pochino.... e se Ella, mi vorrà dire....
— Anzi! Avrete giuocato, m’immagino, qualche volta a’ goffi....
Il Bello accennò col capo di sì, non sapendo dove il giornalista volesse andare a parare.
— Orbene, Garasso, — proseguì il Giuliani, — noi andiamo ambedue del medesimo seme; E non facciamo un buon punto, nè voi, nè io, poichè, a quanto pare, un altro aveva già in mano la donna.
— Che vuol dire Ella con ciò?
— Che la donna non c’è, e non ci resta altro che andare a monte, o aspettarla allo scarto. —
Senza fermarsi a gustare quella metafora continuata del suo interlocutore, il Bello si mosse per andare alla camera letto. Girò la maniglia, aperse l’uscio, e vide la camera vuota.
— Uomo di poca fede! — gli disse il Giuliani. — Perchè avete voi dubitato!
— E dov’è? — chiese il Bello.
— Non ve l’ha detto Gabrina? È uscita. Ma venite qua; possiamo aspettarla. In due sarà meno fatica. Consolatevi, poi, che non vi sono rivale, ed ero venuto a bella posta per voi.
— Per me?
— Sì, per voi, col quale ho da ragionare di cose gravi.