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— Ma che gli dirò io?....

— Non gli direte nulla, perchè ve ne andrete in un’altra camera.

— Udite? È sul pianerottolo....

— Padrona! — disse con voce sommessa la vecchia fantesca, che s’era affacciata sull’uscio del salottino. — Ho da aprire?

— Sì, Gabrina; — entrò a dire il Giuliani; — non senti che suonano? Non è cortesia lasciar la gente sulle scale. —

La vecchia non si muoveva, e ci volle un cenno della padrona perchè obbedisse al comando del giovinotto.

— Presto, dunque! — disse questi; — andate con Marcello; non per di qua, che credo sia la vostra camera da letto.... Dove mette quell’uscio di rimpetto?

— Nella sala da pranzo; — bisbigliò Violetta, che udiva la Rosa esser giunta all’uscio di casa e metter mano al catenaccio.

— Orbene, andate, e non vi muovete; gli dirò che siete fuori di casa.

— Ma.... mi promettete?

— Sì, sì, non perdiamo tempo.... E tu, quel che sai! — disse al Contini, mentre li spingeva ambedue verso la sala da pranzo.

Marcello gli rispose con un gesto eloquente, ed ambedue disparvero nel buio della camera attigua. Il Giuliani tirò l’uscio per modo che paresse chiuso, e andò a sedersi sul canapè dove rimase, con una gamba cavalcioni sull’altra, in atto di contemplare gli arabeschi del soffitto.

Era tempo; il passo del Bello risuonava sul pavimento dell’anticamera, mentre la vecchia Rosa, o Gabrina, se più vi aggrada, richiudeva l’uscio dietro di lui. Poco stante egli entrò nel salottino, dove aspettava di veder la Violetta, e in quella vece gli si parò davanti agli occhi il profilo del Giuliani.

Se fosse in lui maggiore la meraviglia o la molestia, non sapremmo chiarirvi per bene. L’atteggiamento suo rimase perplesso tra il punto ammirativo e l’interrogativo; segno di grave turbamento. E ce n’è d’avanzo, a dipingervi la figura ch’ei fece.