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l’atto, perchè appunto allora gittava lungi da sè per le scale un rimasuglio di fiammifero, che gli scottava le dita.

— Chi è? — dimandò una voce di donna, che non doveva esser di donna giovine, nè bella, per conseguenza. Così almeno parve al Giuliani.

— Son io, un amico; — diss’egli.

Ma se la voce di dentro non parve a lui di donna giovine, nè bella, quella di fuori non parve, a chi stava dentro, la voce di persona aspettata, nè altrimenti conosciuta, perchè una nuova dimanda venne in aiuto alla prima.

— Un amico! Ma chi?

— Io, il Giuliani!

— Non la conosco.

— Vedi la fama, com’è traditora! — bisbigliò il Giuliani nell’orecchio al compagno.

Indi proseguì ad alta voce, rivolgendosi all’uscio.

— Non importa; va dalla signora, e dille che c’è il Giuliani, il Trovatore.

— La padrona è a letto.

— Ma veglia la sua donna! — ripigliò il Giuliani con accento melodrammatico. — Va ad ogni modo, e dille che Giuliani, il Trovatore, o Alfredo, se più le torna gradito, è qui, ed ha bisogno di parlarle. —

E siccome la donna borbottava dietro l’uscio, Alfredo, o, se più vi garba, il Trovatore, soggiunse a mo’ di perorazione:

— Bada, vecchia, se non fai l’ambasciata, la regal signora ti manderà a spasso. Se la fai, contenti la padrona e ricevi da me dieci lire, in premio «del celere obbedir».

— Vado! — disse la voce, rabbonita ad un tratto.

«All’idea di quel metallo», — canticchiò Marcello tra i denti. — Ma l’ora è già tarda, e la vecchia non aprirà.

— Oh, ci aprirà! — disse il Giuliani. — Se poi non aprisse, non m’importerebbe una saetta. L’esito del picchio ha messo in chiaro che egli non è ancora venuto, e noi potremmo aspettarlo nelle scale. Già, egli, per solito, viene verso le tre, dopo essere stato alla bisca. —

Mentre così ragionavano, tornò la fantesca ed aperse l’uscio.

— Entri; — diss’ella, tirandosi da un lato, colla lucerna in mano; — la mia padrona si veste. Ma quest’altro signore....

— Non temere, è un amico mio, e della signora. Prendi, Gabrina!