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- Ma sì; - proseguiva infervorato Aloise. - Vediamo una stupenda creatura, per caso; il nostro cuore s’infiamma; la nostra ragione, che dovrebbe trattenerci, non protesta, acconsente, si associa, come si farebbe in parlamento, per disciplina di partito. La donna per cui ci siamo infiammati, vedendola a caso, ha da corrispondere ai nostri ardori, sotto pena di esser dichiarata senza cuore e senz’anima. Ma se non è libera? Se ha data già la sua fede ad un altro? Oh, non dubitare; ho meditato anche su ciò, e lungamente, correndo il mondo con te. Ma come va che nell’ardore delle nostre passioni, quando sono ancora sul nascere e permettono di ragionare, non pensiamo noi a queste cose? Ci ha guastati, io credo, il veder tante e tante graziose creature, che il nostro costume ha ridotte così male, condannandole a non veder altro nel matrimonio, fuorchè il principio della loro libertà, e il passaporto della loro galanteria. Ma infine, anche sotto certe apparenze che gli usi della conversazione hanno giustificate, le graziose creature non sono tutte così sciolte d’ogni vincolo e d’ogni legge. Ci sono poi gli alti caratteri, che vanno rispettati; in ognuna quel carattere ci può essere, e noi non essercene in tempo avveduti; e se una di queste ci mette sdegnosamente fuori dell’uscio, o, con più grazia, fuor di speranze, fa bene. -

Il duca era fuori di sè dalla gioia.

- Ma bravo, il mio Aloise! - gridò, accostandosi a lui e con atto amorevole battendogli della palma sul braccio. - Tu mi maravigli, quest’oggi. Ci voleva proprio il ricordo di Elena Argiva, per farti render giustizia.... ad Andromaca!

- Oh, le donne antiche non c’entrano affatto, - rispose il giovane, crollando la testa, e quasi porgendola alle carezze della mano patema. - Non sento queste cose da oggi, sotto le porte Scee. Il corso delle mie meditazioni è più antico, ed è opera tua. Prima di tutto, non mi hai tu fatto leggere quel brutto libro, lassù, alla Montalda, dove lo avevi portato per me? Amaro libro; - soggiunse Aloise, rabbrividendo un pochino; - amaro come quello che fu dato dall’angelo per cibo al veggente dell’Apocalisse, ma che lasciò succhi vitali nell’anima mia. Tra molte parole un po’ dure pel mio amor proprio, ce n’erano alcune, in una lettera di donna, che mi son parse giuste, e che mi stanno sempre davanti agli occhi: «Avrei dovuto io dimenticare me stessa, e ciò che debbo al mio buon nome?» Aveva ragione, la bella orgogliosa; e su questo punto poteva dire assai più, che sarebbe stato per mio bene, e fino da quella triste sera