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fare un brindisi al servo di casa Salvani. È il buon Michele che s’è messo a sbaraglio per noi, che è penetrato sotto mentite spoglie nella piazza nemica, ha inchiodati i cannoni che traevano a scaglia su noi, e finalmente ci ha schiuse le porte. Modesto al pari dei veri eroi, egli ha compiuta senza sussiego la più grave bisogna. Chi ha fatto entrare una parola di conforto in monastero? Chi ha origliato i disegni dei tristi, dando per tal guisa il bandolo a voi, e il modo di sgominarli? Chi finalmente ha posto le mani... Ma che dirò io di più? - soggiunse, con bella e soprattutto accorta reticenza, il Giuliani. - Questi è Michele Garaventa, un povero servitore, che, fatta un’impresa degna d’Ulisse, o d’altro eroe dell’antichità, se n’è tornato modestamente nell’ombra, senza chiedere ricompensa delle sue prodezze, riportandone anzi una punizione. Perdonate, bella signora, - diss’egli, volgendosi a Maria Salvani, - io parlo sempre da scapolo impenitente.

- Ottimo Michele! - soggiunse Maria, poi che ebbe con un sorriso mostrato al Giuliani che intendeva l’allusione a quel castigo di Dio della signora Marianna. - Egli è stato, non già un servo, un fratello per noi.

- Queste parole egli deve udirle, - notò il duca di Feira, - e saranno la più bella ricompensa delle opere sue. Se voi lo permettete, gentili signore, lo faremo chiamare. Questo è fuori delle consuetudini, in verità; ma non ne siamo stati fuori un po’ tutti, in questa guerra mal nata? Ed egli, poi, il valentuomo, per amore de’ suoi padroni, non n’era uscito prima di noi, dalle sue? non s’era levato a tale altezza di sacrifizi, che non si può richieder da tutti? -

In questa guisa era stato chiamato Michele Garaventa al cospetto della gentile brigata. Il poveretto era confuso, fuori di sè; quando si vide in mezzo a quei signori, sentì mancarsi qualcosa di sotto, che ben non sapeva se fosse la terra, o le gambe. Accettò, senza profferire parola, il bicchiere che gli porgeva Maria, e bevve mutamente, istintivamente, come uomo che non avesse mai fatto altro in sua vita. Del resto, come a tutti è noto, egli sapeva farlo per bene. Ma allorquando egli udì che si beveva alla sua salute, che quella gran dama della Priamar aveva cortesemente alzato il bicchiere ad onor suo, che Sua Eccellenza si degnava di toccare con lui, che sguardi e parole amorevoli lo sfrombolavano d’ogni parte, fu un altro paio di maniche. Bisognava parlare, egli lo vedeva. Parlare! Ma che cosa avrebbe egli - detto? Le gambe gli facevano giacomo giacomo; gli zufolavano le orecchie;