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imbelle ruggiva disperato. E fu la mia vita; e più venni innanzi negli anni, più crebbe la mia angoscia. Ora argomentate qual cuore fosse il mio, allorquando, privo da due anni di lettere, aspettai vanamente quella che doveva recarmi una orrenda certezza, o tranquillarmi lo spirito, così fieramente turbato dal doloroso presagio. L’amico aveva sempre usato scrivermi rarissimo e breve; nelle sue lettere non era mai cenno della madre vostra. Ma egli sapeva il passato; però il suo silenzio mi accennava: ella vive, ella è felice con lui. Vi ho detto che queste lettere giungevano a Rio Janeiro. Dovunque io fossi, un mio fidato partiva a quella volta, varcava terre e mari per andare in cerca d’un foglio di carta, che di sovente non c’era. Sindi, il mio fedele indiano, ha di questa guisa viaggiato più volte. Il silenzio dell’amico, che da tre anni durava, e voi già sapete il perchè, mi tolse di sapere ciò che avvenne nel 1850, vo’ dire la morte del padre vostro. Il destino volle così, e forse fu provvidenza; perchè, io ve lo giuro, Aloise, avrei fallito alla mia promessa, sarei corso, volato in Italia. Ma tutto congiurò a mio danno, perfino la morte del pietoso amico, quando più mi sarebbe tornato necessario il sapere. Pensate voi che ella non mi avrebbe perdonato il ritorno? Qual colpa sarebbe stata in noi di rivederci, se il lutto avvenuto in sua casa, e che non era dato nè a me nè a lei di far che non fosse, giungeva tristamente inaspettato a lei, non chiesto, non desiderato da me? Ah, io ne ho fede, ella mi avrebbe perdonato, ella che, morta appena, venne a susurrarmi un saluto, ella che innanzi di morire mi aveva invocato, a custodia, a tutela del suo diletto Aloise.

- Ah! - interruppe il giovane. - Ben ravviso la mia santa madre, memore del vostro sacrifizio, certa di avere in voi un amico.

- Sì; - disse sospirando il duca di Feira, - e quella lettera che mi fu tanto dolorosa, mi ricompensò pur largamente di tante amarezze patite. Ma uditemi. Dopo avere aspettato senza frutto una lettera del lontano amico e, ingiustamente accusandolo, avevo rifatta la strada e valicate di bel nuovo le Ande, ero andato a imbarcarmi per l’Australia. Rimasi assai poco laggiù; visitai la Cina, ricorsi l’India, viaggiai, senza quasi far sosta, la Persia e l’Asia Minore, donde scesi in Egitto. Un’aspra cura mi stimolava; volevo andare, volevo esser più vicino che mi venisse fatto alle regioni vietate dov’ella era. Di là il mio Sindi partì un’altra volta, già indovinate per dove. Avevo sei mesi da attendere; li passai