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che egli m’ha dato pur dianzi. Oh, non mi dite nulla; già so quel che vorreste rispondermi; voi siete di quella eletta di nobili cuori, i quali, o non si dànno, o si dànno intieri; in voi vostra madre non ha solo lasciato l’impronta del suo volto. Ma uditemi; io ho pur bisogno di raccontarvi tutto me stesso. Il mio vecchio nome importerebbe poco: la mia terra natale, dov’io ero già solo, lo ha da molti anni dimenticato; qui non è più anima viva che sotto il nome sonante del duca di Feira, degnamente acquistato, ardisco dirlo, e degnamente portato, possa ricercare Cosimo Donati, e annettere a questo nome una ricordanza di tempi lontani. Cosimo era giovine, assai più giovane che voi ora non siate, allorquando lasciò la sua cara Liguria, per andare lontano, a cercare alle fonti istesse del traffico genovese una ricchezza che gli era necessaria, per ottener la mano della donna del suo cuore. Il Vitali non era allora il ricchissimo banchiere che egli diventò in processo di tempo; ma era già tale da poter negare la mano di sua figlia ad un giovane di modeste sostanze qual era il Donati. Perchè, debbo dirlo, questi ardì chiederla, e gli fu risposto: siate così ricco da poterle profferire del vostro quanto io le darò in dote del mio, e se altri non l’abbia chiesta ed io non l’abbia accordata, non sarò uomo da negarvela un’altra volta, come oggi mi costringe di fare il mio debito di padre. Era un cortese rifiuto; ma io amavo, ero giovane, credevo d’essere amato, e non disperai. Partito da Genova, confinato dall’ansia febbrile del lavoro sul lembo estremo della Bessarabia, ebbi cosiffattamente amica la fortuna, che ad arricchire, siccome avevo promesso, non mi bisognarono i cinque anni che avevo accennati al Vitali e a sua figlia, come il termine assegnato alla mia operosità affannosa, allo adempimento delle mie alte promesse. Tornai, dopo un’assenza di tre anni; Eugenia Vitali era moglie ad un altro, era già vostra madre.... -

L’amarezza delle ricordanze soffocò in questo punto la voce del vecchio, a cui fu mestieri d’un po’ di sosta, per ricomporsi e proseguire il racconto. Nè ruppe il silenzio Aloise, che, rispettando quell’alto dolore, stava colla fronte china e le palpebre chiuse, in atto di profonda meditazione.

- Scherno atroce della fortuna! - ripigliò il duca di - Feira. - Ella non m’aveva sorriso se non per farmi sentire più forte il disinganno. Come io rimanessi allora, solo il mio povero cuore lo sa. Non vi dirò in qual modo mi presentassi a vostra madre, Aloise, che bene nol rammento più