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ma tanto almeno da sentire nei proprii i dolori altrui, e da riconoscere per via di somiglianza le più arcane sottigliezze dell’affetto.

La bella Ginevra dagli occhi verdi non aveva dunque un briciolino di cuore? Al suo nascere, come a quello d’una principessa da leggenda, aveva assistito una fata benigna, che le aveva dato la bellezza, l’ingegno, la ricchezza, la nobiltà, tutte le grazie, insomma, e tutti i pregi che adornano la creatura; ma, fosse dimenticanza, o deliberato proposito, non le aveva altrimenti dato quel misto di sensi soavi che la nostra lingua ha così bene compendiato in quella sola parola? Ardua questione! In ogni cosa umana è da badare alla fine. Per intanto veniamo allo scritto. Ecco l’ultima lettera, che recava la data del 30 settembre, cioè a dire di quindici giorni innanzi.


«Sono finalmente a casa mia, dopo due mesi d’assenza, e ti confesso che ci sto bene. Come dopo una notte di festa si sente il piacere di rannicchiarsi sotto le coltri, io provo ora la dolcezza del riposo. Ti parrà ingratitudine, questa; ma togliti questo pensiero dal capo, mia bella Onorina, che io ho trovata più bella, più cara, più gentile, che mai; non sono ingrata alla tua amicizia, sono stanca degli ultimi trabalzamenti da Parigi a Berlino, da Berlino a Monaco, da Monaco a Venezia. Se quei due mesi li avessi passati tutti e due presso a te, se almeno si fosse potuto variar l’ordine loro, così che io avessi avuto il dolce alla fine!... Ma no, s’è finito colla Germania, e co’ suoi uomini di Stato, tutta gente cerimoniosa e stecchita che solo a vederli ti mettono i brividi.

«Ad Antoniotto, come puoi immaginarti, piacquero, e se li ha goduti per due. Ma, tu lo sai, io non amo la politica, nè la diplomazia che le fa il sordino. Tutt’al più, mi rassegnerei ad essere ambasciatrice di Sardegna alla corte delle Tuileries, ma lasciando a mio marito la cura di leggere i dispacci e di farli leggere, di tener d’occhio il corso degli eventi e di ragguagliarne i ministri. Gran bella cosa, questa ragione di Stato! I nostri mariti dicono che noi donne non ne intendiamo un ette; figùrati! Dire una cosa e pensarne un’altra, poi farne o lasciarne fare un’altra ancora, che non s’era detta nè pensata; questo è il grande arcano della nuova scienza cabalistica!

«Basta, veniamo all’essenziale. Sono a Genova, e in villeggiatura per ora non fo conto di tornare. Antoniotto ha