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è un gentil cavaliere, un homme comme il faut. Nella qual cosa c’è più prudenza, e, diciamolo anche, più verità. Diffatti, amano esse davvero, queste gran dame? Giuocano all’amore, ecco tutto; il damo è un passatempo, un’appendice ai merletti, alle trine, ed altre simili frascherie.

Ginevra, in quella vece, che viveva una vita meno svariata, più raccolta, più provinciale, non aveva di gran novità a mettere in mostra. Però le sue lettere, data la debita parte ai pochi sollazzi della città, anzi della cerchia ristretta delle sue attinenze nobilesche, tutte passate allo staccio, riuscivano assai più astratte, assai più soggettive; la qual cosa significa che parlava di sè, ed abbondava nelle dipinture dell’animo suo, anzi che nel racconto de’ fatti. La marchesa Torre Vivaldi era d’ingegno colto e vivace, che, come si vedeva nel suo conversare, si riscontrava ne’ suoi scritti. Non dissimilmente dai valenti parlatori, che spesso amano stare ad udirsi, in quella che vengono arrotondando a fior di labbra i loro aggraziati periodi, Ginevra aveva caro lo scrivere, per ammirare le belle cose che le sgocciolavano dalla penna. I suoi giudizi intorno alle dame e ai cavalieri della sua città erano per consueto assai giusti, ma sempre un po’ troppo ricisi; la moglie del tiranno di Quinto tiranneggiava a sua volta, e faceva giustizia sommaria.

Ecco ad esempio, voltata in italiano (poichè il carteggio era tutto in francese), una sua lettera, la seconda che lèsse Aloise, nella quale era minutamente narrata quella che la giovine marchesa Torre Vivaldi chiamava la sua prima comparsa di donna in quella società genovese, dalla quale aveva ad essere acclamata regina per diritto di conquista.


"Il tuo silenzio mi punisce troppo gravemente del non averti io scritto da un pezzo. Non mi tenere il broncio, te ne prego, e pensa che la tua Ginevra ha passato due mesi orrendi, per occupazioni, molestie, seccature senza fine.

"Ho avuto uno sbalordimento così grande, e soprattutto così lungo, che n’ho ancora le orecchie intronate. Ho finalmente capito come si possa affogare in un bicchier d’acqua. Genova è un bicchier d’acqua al paragone di Parigi; ora la tua povera amica, che ha galleggiato passabilmente, tra bene e male, a Parigi, ha fatto naufragio a Genova. Costì, grazie alla tua cortese sollecitudine, tutto mi procedeva ordinato e tranquillo; le nostre cure quotidiane, i nostri passatempi, erano meditati, scelti da noi, condotti secondo la nostra volontà. Qui nulla di ciò, tutto in balìa del caso, o della volontà