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di una chiostra, la quale, anzi che il pozzo d’aria, poteva dirsi l’immondezzaio dei sette piani della casa. Il che piaceva, e s’intenderà di leggieri, a quattro o cinque galline che razzolavano in fondo, non già alle centinaia di ragni de’ piani superiori, che vedevano ad ogni tratto sfondati da bucce e torsi di cavolo i loro sapienti tessuti.

Che cosa aspettavano quei ragni? che frutto si ripromettevano dalle lor reti, che andavano rimendando sollecitamente ad ogni nuovo strappo? Colà non si perigliavano mosche nè moscerini, allegri figli della luce, e tenerissimi della madre loro. Quei poveri ragni tiravano là, per amore dell’arte, aspettando tempi migliori, che non giungevano mai, e senza sapersi risolvere a mutar di paese. Amavano, avevano prole, condannata a vivacchiar di speranza e a morir di inanizione com’essi.

Una bella ragnatela, e largamente fruttuosa, era al terzo piano che abbiam detto. Colà ma non all’aria aperta, prosperavano tre ragni in una medesima buca, due noti e visibili, il Cardi e il Salati, il terzo nascosto all’ombra d’un C., che era il discepolo di Bonaventura. Si davano ad ogni maniera di traffichi, o, per meglio dire, d’intrugli, pei quali ci avevano i loro mezzani, che, all’occorrenza, e per salvare l’onoratezza del banco, il quale apertamente non imprestava denari oltre il sei d’interesse, assumevano apparenza di capitalisti. E da quella triade nascosta uscivano i più sottili accorgimenti che ingegno di strozzino potesse immaginare; quello ad esempio dei nòccioli di pèsche, il quale va raccontato. Ab uno disce omnes.

Un giovanotto di buon casato, a cui non potevano un giorno mancare le sue quarantamila lire d’entrata, ma che appunto per la larghezza delle speranze, non poteva rassegnarsi ad attendere in pace (i padri eterni, lo dice il proverbio, fanno i figliuoli crocifissi), aveva bisogno di denaro. Ogni somma gli bastava; seimila lire, diecimila, ventimila; fossero anche state centomila, le avrebbe accettate, sottoscrivendo la sua brava obbligazione a babbo morto.

I sensali, a cui si rivolse, gliene proffersero due mila, s’intende in mercanzie «di sua piena soddisfazione, per rivenderle e farne commercio» come doveva essere scritto in una cambiale a tre mesi. Nè il genere dell’obbligazione, a scadenza troppo breve, nè il fatto delle mercanzie, piacevano al giovanotto; ma la necessità dei cumquibus l’aveva stretto alla gola, e poichè i sensali gli ebbero detto che una cambiale poteva rinnovarsi, e che le mercanzie potevano vendersi