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quelle rinchiuse? La leggenda non ha nulla da dirci intorno a ciò; la cronaca sola ci racconta che ne’ primi anni del dominio di casa Savoia quella via sotterranea fu chiusa perchè le claustrali non avessero modo di frodar la gabella. Oh secolo decimonono, secolo di prosa!

Nel 1857, l’orto, il cortile, i loggiati, se non lieti, erano puliti; i porticati sapevano di santità, o d’incenso, che torna lo stesso; l’androne, ornato di vecchie lapidi, risuonava soltanto ai passi della suora portinaia e delle rare madri che dovevano in certe ore del giorno passarci, quando erano chiamate in parlatorio; il portone ferrato si apriva soltanto nelle grandi occasioni, verbigrazia per la solennità delle monacazioni, allorquando la povera novizia, scesa sul limitare a dar l’ultimo sguardo e l’ultimo saluto al mondo profano, baciava in fronte i parenti, senza ardire di mettere il piede fuori dello scalino di marmo. E noi, che non abbiamo una di queste solennità da raccontare, lasciamo il portone chiuso, e seguitiamo per l’uscio di servizio un nuovo personaggio del nostro racconto, che è mastro Pasquale, il legnaiuolo delle monache.

Non si scandolezzino i lettori timorati, nè facciano bocca da ridere i maliziosi; qui non c’è nulla che esca di riga. Mastro Pasquale aveva passo libero in monastero (s’intende quando fosse bisogno dell’opera sua) come il muratore ed il medico, quegli curatore delle vecchie pareti, questi delle vecchie abitatrici; e al pari di queste due, c’entrava senza bisogno di tenere il campanello tra mani e sbattagliar di continuo, come si adopera in certi conventi, per dare agio di scampo alle timide spose del Signore, che vanno in volta pei corridoi.

Vi parrà un privilegio; ma per verità a mastro Pasquale non gliene importava nientissimo, e n’avrebbe fatto volentieri un presente a chi gli avesse levato dalla gobba la metà, o almeno un terzo, de’ suoi sessant’anni. Del resto, anche a quarant’anni egli entrava in monastero a quel modo; chè, forse pensando di nominarlo a quell’ufficio geloso, Domineddio lo aveva fatto scrignuto e sbilenco, ornandolo per giunta d’un naso cosiffatto, che, a segarne mezzo, gliene sarebbe rimasto ancora abbastanza.

Parlando di lui col confessore (non ci si domandi per carità come ci sia giunto all’orecchio) la madre Badessa era uscita in queste parole: «sia detto senza far torto all’immagine del Creatore, il nostro legnaiuolo è brutto come il peccato mortale.»