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se fosse tornato a lei, finalmente libera, chi sa?... Ma, vivi ambedue, il lontano si affacciava alla sua mente come la memoria d’un fallo; e quando il lontano morì, non lo pianse; pregò per lui, e le parve un conto saldato.

Nè vogliano reputarla cattiva i lettori; umana soltanto, nel senso che Terenzio ha dato al vocabolo, nient’altro che umana. Era una donna pentita, nè poteva operare o pensare diverso. Nobilissima com’era, non si rallegrò; ma tacitamente, quasi istintivamente, senza pure formarsi un chiaro concetto di ciò che sentiva, adorò in quella morte i decreti della divina provvidenza, che cancellavano in tal guisa un malaugurato ricordo. S’era data alle pratiche religiose come ad un rifugio dello spirito; vi perdurò senza fatica, ingannandosi anche nell’amor divino, come s’era ingannata nell’amore terreno.

La casa della marchesa di Priamar, come abbiam detto a suo luogo, era un ritrovo di gente posata, magistrati sputasentenze, dame contegnose, nobili parrucconi e simiglianti, tra i quali ella regnava, legittima Aspasia di quel fastoso consorzio. Le smancerie degli abati, le riguardose tenerezze dei vecchi Alcibiadi, le dicevano che era tenuta per bella; il che non guasta mai. Le dame anche più apertamente la decantavano bellissima, poichè non rapiva loro gli amanti, e la sua vanità femminile aveva largo tributo d’incensi, in quella che la sua ambizione si esercitava liberamente ne’ suoi caritatevoli patrocinii, ne’ suoi misericordiosi maneggi.

Poco dopo il Montalto, anche il marito morì, rendendo alla terra un corpo pieno di acciacchi e alla marchesa la sua libertà. Vedova, ella giunse all’età in cui la passione ridotta agli sgoccioli dà l’ultimo guizzo, e il più vivido, nel cuore della donna più austera per costume, più fredda per indole; vogliam dire a quello scoglio de’ quarant’anni, tanto più pericoloso per lei, in quanto che la sua freschezza dimostrava non aver sentito alcun danno dal tempo. Ma il caso le diede di uscirne vincitrice, custodita come era da quel contorno di gente sciocca e cerimoniosa, e più ancora dalla sua medesima vedovanza, stato minaccioso che potrebbe paragonarsi a quelle fortezze abbandonate, dove il nemico non ardisce di entrare, per sospetto di agguati, o di mine pronte a scoppiare. Que’ prosecutori di facili conquiste che sono certi zerbinotti, gente che va a cacciare nelle boscaglie di Pafo col biglietto d’andata e ritorno in tasca, non si perigliavano sull’orme di una selvaggina che li avrebbe condotti, Dio sa dove, fors’anco nelle ugne ai guardacaccia dell’Imeneo. Così ella varcò tran-