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pure si dolse che Lorenzo lo accompagnasse alla cappella col suo fascio di fiori; ma parve gradire l’atto riguardoso del giovane, che lasciò a lui la cura di mettere i fiori a mazzo e di collocarli in mostra, pago del più umile ufficio di togliere i vizzi e di rinnovar l’acqua ne’ due vasi di cristallo.

— Erano i suoi! — disse Antonio, accennando i vasi che lui porgeva il suo nuovo aiutante. In quelle tre parole, che chiamavano in mezzo a loro la memoria della marchesa era la consacrazione di quell’aiuto che a prima giunta gli era parso una usurpazione de’ suoi diritti.

D’allora in poi quell’uffizio mattutino fu sempre fatto in comune. Altre ragioni di ravvicinamento e di conversazione non erano tra loro. Buon giorno e buona sera, secondo le ore; la frase sacramentale: «il signore è servito» all’ora della colazione e a quella del desinare; e ogni cosa era detta. Lorenzo non comandava mai nulla; assaggiava a mala pena i cibi ammanniti da una vecchia fante tornata contadina, che pure ricordandosi di aver servito in casa Montalto, la pretendeva a cuoca; e subito a correre pe’ monti, come una fiera. Più e più volte occorse che egli dimenticasse il desinare, ritornando con le ombre della notte al palazzo. Allora si metteva a tavola, e mandava giù, senza pure addarsene, il pranzo raffreddato. «Povero signorino!» diceva la cuoca, e almanaccava le disgrazie che avevano potuto ridurlo in quello stato; Antonio lo serviva senza far motto; la mestizia dell’ospite pareva ai custode la cosa più naturale del mondo.

La selvaggia orridezza di que’ monti piaceva a Lorenzo; o, per dire più veramente, il suo spirito, non turbato da contrasti di allegra prospettiva, spaziava liberamente, naufragava a sua posta in quella profonda tristezza di natura. Vagava senza proposito qua e là; le membra si muovevano; la mente era altrove, o giaceva offuscata, istupidita da quel rovescio d’immeritate sventure.

Le sue corse quotidiane giungevano fino ad una balza che signoreggiava la valle e le circostanti costiere, e donde il palazzotto dei Montalto appariva come un masso bianchiccio rovinato da una di quelle alpestri sommità e arrestato a mezzo il suo cammino precipitoso da una anfrattuosità del terreno. Lassù rimaneva lunghe ore, inerte, smemorato, colle braccia raccolte sul petto e gli occhi fissi nel lontano orizzonte. Spesso egli era ancora lassù, in quella postura, al cader della notte, e pareva la statua dello stupore; il contadino che avesse veduto da lontano, nel ricondursi al suo casolare, quella immobile figura nereggiante di rincontro alla