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visti dal vano di un uscio socchiuso, o dal buco di una toppa, la vispa Cecchina, una cameriera che sa tutto, che vede tutto, vero ministro degli affari interni in gonnella di lana, a scacchi rossi e neri, e grembiale di seta.

Invisibili come un eroe di poema epico, a cui un Nume benigno ha concesso l’accappatoio di una nuvola, possiamo guardare a nostro bell’agio la bionda contessa, che è appunto sdraiata sul piccolo sofà daccanto alla finestra, con un tavolincino di lacca giapponese posto lì presso, che la mano della signora possa giungervi senza incomodo, a scegliere tra una rivista francese, due giornali di mode, uno di politica, e un volume del Leopardi.

Il qual volume, sia detto ad onor del vero, stava aperto sulla lastra verniciata, parendo rimasto a bocca aperta per la meraviglia del trovarsi in quella compagnia.

La contessa Matilde non leggeva. Appunto pochi momenti innanzi aveva deposto il libro, aperto alla pagina di Consalvo, a cui consola la triste agonia il primo bacio di Elvira. Col capo arrovesciato sulla soffice spalliera tondeggiante del sofà, gli occhi socchiusi in atto di meditazione profonda, una mano raccolta al seno e l’altra mollemente abbandonata lungo le pieghe di una veste di color pavonazzo, stretta alla vita e stretta al collo, dov’era terminata da una gorgieretta a cannoncini insaldati, l’avreste detta una bella figura del Vandyck, spiccatasi dalla sua tela, e diventata di carne, d’ossa e di seta, per far grazia a voi, prelibati lettori.

Qual era l’argomento delle sue meditazioni? Ecco qua: la contessa Matilde pensava che era prossimo il tocco, e che, seguendo la consuetudine delle visite, l’ignoto ed affettato Lorenzo Salvani, non avrebbe tardato molto a giungere.

E infatti, il tocco era passato di poco, che un giovanotto chiuso in una specie di cappa che portava allora il nome di lord Raglan, commetteva i suoi stivalini inverniciati su per la salita della palazzina Cisneri. Giunto lassù, detto il suo nome, e gettato il raglan sulle braccia del domestico, salì nell’anticamera che il lettore conosce. Lo stesso domestico, passatogli innanzi, e alzata la portiera del salotto, annunziò alla contessa la venuta del signor Lorenzo Salvani.

- Fatelo entrare! - disse ella con una voce che noi non chiameremo argentina, a cagione dell’abuso che si è fatto ormai di simili aggettivi.

A Lorenzo il cuore «balzava in petto» davvero, e non già per far servizio alla rima come nei melodrammi, Il giovinotto era intrepido, anzi audace ai pericoli, ma pur sempre timido