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vedove derelitte, come ce ne son tante al mondo, per la quale voi sarete, inconsapevolmente, la mano della provvidenza, e il premio che questa avrà mandato a’ suoi patimenti. Fatelo, Paris; ve ne prego, ve ne supplico, per Maria, per me, per quello ch’io sono stata un giorno ai vostri occhi....»


Come aveva potuto una donna, ornata ancora di tutte le conscie lusinghe della bellezza e della gioventù, commossa ancora da tutti i prepotenti ardori del sangue, trionfare cosiffattamente di sè medesima, soffocare, annientare la sua volontà, consumarsi, e diventare un’altra, tanto da poter scrivere sinceramente in quel modo all’uomo amato, al padre di Maria? I patimenti l’avevano sopraffatta; il cuore aveva ceduto agli spasimi dell’assidua tortura; Lilla non era più Lilla.

Non senza contrasto, per altro. Qualche volta la materia si ribellava alle mortificazioni dello spirito. Anche nella piaga più profondamente visitata dal ferro e dal fuoco, rimane qualche cosa, che a volte ripullula. Inoltrata negli anni, Lilla si sarebbe chetata del tutto: giovine ancora, ella durava acerbi patimenti: e l’ardore male spento dagli anni si faceva a sviare con irrequietezza febbrile, spandendolo, consumandolo in sempre nuovi tentativi, larve di operosità più affannosa che efficace.


«.... Mi sono rinchiusa in questa dimora campestre, e nelle sue umili consuetudini, più facilmente che non sperassi da prima.» - Così ella scriveva nel febbraio del 1842. - «Un tempo davo troppa parte di me alle vanità del mondo, e furono quelle che mi hanno perduta. Ora battono all’uscio, ma invano. Mi compiaccio di vestire dimesso, come una povera monaca. A volte amerei di fare qualche passeggiata all’aperto, e di respirar l’aria pura dei monti che torreggiano alle spalle del nostro palazzo; ma di lassù si scorge troppo distesa d’orizzonte, e lo spirito va in balìa di sogni pericolosi; laonde, ammonita dalla esperienza di un giorno speso in tal modo, ogni qual volta mi venga il desiderio di andare, mi costringo a non uscir nemmeno in giardino.

«Faccio male a scrivervi queste cose, mio ottimo amico; forse è male che di tanto in tanto io prenda in mano la penna. Perdonatemi: accogliete questi scritti come un’umile confessione de’ miei falli, ed assolvetemi, come mi assolve il sant’uomo, ai piedi del quale io depongo ogni settimana questi ultimi atti di debolezza femminile. Egli è pietoso ed umile, questo curato, come un vero seguace di Cristo; non