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m’è andata a rifascio nei teatri di Roma e di Trieste; causa la malattia della prima donna, che come non sarà ignoto a V. S. ha dovuto smettere per qualche tempo, ed io sono stato costretto a presentare in sua vece una prima amorosa, buonina sì, ma al suo posto, non già nelle parti di forza.

«Ma lasciando da banda tutti questi particolari, che io le ho accennati soltanto per chiarirle lo stato delle cose mie. Ella è, mio egregio signore, tuttavia sconosciuto nell’arringo drammatico, non appartenente ad alcuna consorteria letteraria. Questo è suo merito, lo so; ma l’universale non ragiona sempre colla testa, e quantunque a volte si ribelli contro certe chiesuole (vera dannazione di noi poveri artisti!), non si affolla, poi, in teatro, se non ci ha l’esca dei nomi conosciuti. Oltre che, sebbene il dramma di V. S. ci abbia di molti pregi, e quello anzitutto dello stile che io non mi periterò di chiamare classico addirittura, Ella converrà meco che possa piacere e dispiacere. L’argomento è delicatissimo e del novero di quelli che vanno trattati, come suol dirsi, coi guanti.

«Comunque sia, se Ella si sente di affrontare il giudizio del pubblico, ai magri patti che io posso per ora proporle, tenteremo la prova, e mi è grato sperare che riesca favorevole al suo stupendo lavoro, e mi dia agio ad offrirle, per un nuovo dramma, qualcosa di meglio del decimo dell’entrata, detratte le spese serali. Aspetto dunque una sua riverita lettera, la quale mi dica si o no, e dolentissimo di non potere più efficacemente dimostrarle quanto apprezzo il suo nobile ingegno, me le profferisco devotissimo

RAFFAELLO BONALDI


Questa lettera era caduta come un fulmine in casa Salvani, a turbare l’ultimo sogno di Lorenzo, a distruggere l’ultima speranza che egli vagheggiasse in cuor suo, di tornare in qualche modo di sollievo alla sua povera sorella adottiva. - «Piove sul bagnato!» - aveva sentenziato con spartana breviloquenza Michele, allorquando il suo padrone, sorridendo amaramente, gli aveva annunziato il colpo di misericordia vibratogli dall’avversa fortuna.

Un ultimo lampo d’orgoglio guizzò nell’animo di Lorenzo Salvani. Scrisse al capo comico ringraziandolo di aver letto il suo dramma, che non era poca cortesia; distribuisse pure le parti e lo facesse recitare; non si desse pensiero di pagamento, nè di decimo netto, o lordo, nè d’altro, perchè a lui queste inezie non importavano punto. E scritta quella