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piglio alla damigiana che stava lì presso, e versò il vino nei bicchieri, che corsero in giro parecchie volte, tra gli evviva più sperticati e più strani al collega Architetto.

Il Guercio se la rideva sotto i baffi, perchè, non mettendo in conto l’orologio e la catenella del suo tenore col tremolo, quella sera guadagnava milleduecento lire senza molta fatica.

L’Architetto, dal canto suo, se si faceva pagare per due, sapeva bere all’occorrenza per quattro. E così fece quella sera; se pure non è più giusto il dire che bevve per sei. Tanto per quella sera il lavoro era interrotto, e non si doveva ripigliare se non la mattina, allorquando il frastuono della via soprastante avrebbe soffocato il rumore monotono e traditore dei loro picconi. E il nostro Architetto, reso eloquente dal vino, raccontò candidamente ai colleghi che il sogno della sua vita era stato mai sempre di essere carabiniere, anzi carabiniere a cavallo. E d’essere carabiniere e di trottare in corrispondenza da una stazione all’altra, sognò veramente un’ora dopo, quando il vino, facendo il suo effetto, lo ebbe dato per morto in braccio a Morfeo.

Forse in quell’ora medesima, un vero carabiniere, disteso nel suo letticciuolo, sognava di aver vinto una quaderna al lotto, e di non portar più il pennacchio rosso e cilestro.

Ahimè! Nessuno è contento del suo stato, in questa valle di lagrime!



XXXV.

Come un gladiatore moderno si disponesse all’ultima Pugna

Memori sempre di tutti i personaggi della nostra storia, non abbiamo dimenticato Lorenzo Salvani, il povero giovine che abbiamo lasciato in via Nuova, sotto le finestre dei Torre Vivaldi, a guardare un’ultima volta Matilde che saliva alla festa, leggiera e felice come persona che si sia liberata di un grave peso, ed abbia fatto un’opera buona. Fu l’ultimo sguardo che egli volse a costei, ma non ardiremmo dire che fosse l’ultimo pensiero.

Chi penetra negli ultimi recessi di un cuore trafitto? Chi sa dire quante volte, anche inconsciamente, un’anima aspreggiata