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il pretesto ad una separazione di coniugi; mandato due cassieri in Isvizzera ed un mercantuzzo in prigione per bancarotta fraudolenta; spennacchiati cinque o sei figli di famiglia, e messo un tutore al punto di non poter rendere i conti ai pupilli. Il resto si omette per brevità.

Vi basti sapere che da qualche tempo era scaduta un tantino, e aspettava la rivincita dal mondo ingrato, vivendo in un quartierino modesto, che si apriva a pochissimi; andando di rado per le vie, ma sempre contegnosa come una vedovella che non vuol sentir parlare di Cupido se non è accompagnato dal suo collega Imeneo: mostrandosi nei teatri a tutte le prime rappresentazioni, e non accettando, da quei pochissimi che abbiam detto, altro che fiori e cartocci di zuccherini; segno che li teneva a stecchetto. Nessuno sapeva dond’ella cavasse i danari, per menar quella vita; si facevano chiacchiere di molte, e senza dare nel segno. Era ciò che ella voleva; il resto sarebbe venuto da sè.

Questa cartella che s’industriava a crescer di prezzo, in un mondo il quale non cura che il valsente, al cospetto di uomini i quali stimano e ragguagliano tutto a lire e centesimi, virtù, vizio, dolore e piacere, era posseduta segretamente, o, per dir meglio, era lei che possedeva il Garasso. Egli, corto ingegno ed uomo volgare, non sarebbe mai venuto a capo d’indovinare i fini riposti di quella donna, che lo chiamava biondino e lo comandava a bacchetta. Essa lo accoglieva e lo rimandava quando le mettesse conto; gli teneva il broncio, e col broncio la porta chiusa, per intiere settimane; poi lo racconsolava con mezze carezze. Ed egli durava quella vita, metteva fuori quattrini, e gli pareva ancor grazia. Quella fragranza, anche viziata, di donna elegante, era una certa novità che egli non aveva sentito mai, egli stropicciatosi per tutta la sua gioventù con gente da taverna e da bisca. In quella casa si sentiva odor di giaggiolo; colà passeggiava su d’un tappeto di lana, in mezzo a pareti coperte di carta felpata, e sedeva su d’un canapè foderato di velluto, mezzo seta e mezzo cotone.

Qualche volta (e questo era avvenuto per l’appunto in carnevale) la Violetta non aveva reputato disdicevole alla sua dignità di indossare le umili vesti della popolana, e imbacuccata nel mèzzaro far le notturne scappate con lui, gongolante e pomposo, nelle festicciuole della bordaglia. Quella era una degnazione! Se la signora Momina l’avesse veduta, e avesse potuto sollevare la maschera di quella femmina che posava audacemente il suo braccio su quello del suo