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E presa dalle mani della marchesa quella magnifica farfalla tempestata di gemme, che i lettori conoscono, l’aperse e scrisse il nome del marchese di Montalto per una mazurca.

Aloise s’inchinò per ringraziare la bella Ginevra.

- E adesso, marchesa, udite? Gli è tempo di venire con me.

- Con che aria me lo dite, Cigàla! Lo spirito del male non parlerebbe diverso ad un’anima che avesse sottoscritto un patto col sangue. -

Ciò detto, la bella Ginevra si alzò da sedere, e poco dopo Aloise la vedeva aggirarsi con elegante compostezza in braccio al Cigàla nel turbine della danza.

Ritto in piedi, contro lo spigolo della strombatura di un finestrone che era accanto alla porta, egli era rimasto a contemplare la dama, pensando. A che cosa?

Dapprima cercò di ordinare tutti i suoi concetti, cosiffattamente ingarbugliati e tumultuati nell’anima. Pensò che aveva veduto Ginevra, udito il suono della sua voce, bevuto i raggi che sprizzavano que’ grandi e profondi occhi verdi, che aveva respirata la sua aria, che era penetrato insomma e s’era inebbriato in quell’aureola di luce tiepida e di arcani effluvii che circonda una donna gentile. Ma egli non era contento di sè medesimo, e ricordava di essere stato taciturno, impacciato, poco manieroso.

E poi, che cosa gli avevano detto quelle labbra di corallo? Parole cortesi, ma nulla di particolare, nulla che gli dimostrasse aver ella sentito la presenza di un amore profondo, veemente. Strana logica degli innamorati! Dopo essersi chiarito scontento di sè, riusciva scontento di lei. Avrebbe voluto che ella avesse indovinato su due piedi l’amor suo; ma in che modo? S’era egli mai fatto innanzi? O poteva ella vederlo sul belvedere dell’Acquasola, quando egli stava le ore intiere amorosamente speculando i comignoli del palazzo Vivaldi? O poteva in teatro avvedersi dell’affetto di un uomo, il quale non la guardava mai? E poteva intendere che quel suo continuo girar degli occhi, in aria di sbadataggine, era un sottile accorgimento adoperato per veder lei? E in quella sera stessa, vedendolo e parlandogli per la prima volta, che poteva dirgli di più, se egli era rimasto così senza parole? Che cosa concedergli, se egli non aveva chiesto nulla? Quel poco che aveva ottenuto, egli non l’aveva neppur guadagnato con la sua fatica; ne era debitore all’amicizia, al fare spigliato e gaio dell’ottimo Cigàla.

Mentre tutte queste cose gli tornavano in mente e si schieravano