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potete andar liberamente a ballare. È già un’ora che state qui, e quelle che sanno il debito loro sono già venute. Le altre che si fanno aspettare oltre il bisogno, debbono a loro volta aspettare che voi le salutiate. Se non conoscono le buone creanze, tanto peggio per loro. -

Poi, di tratto in tratto, andava nel salone di Flora a vedere il ballo; si accostava con un piglio di affettata dimestichezza a questa e a quella, dicendo all’una che non ballasse troppo, a cagione del suo stato (sapeva perfino queste cose, il nobile De’ Salvi!), all’altra che non ballasse il waltzer, perchè le faceva girare il capo, e via discorrendo. Era insomma una molestia da non dirsi a parole.

In quanto alla Ginevra, che egli voleva ad ogni costo mandare a ballare, ella non gli dava retta, e non si muoveva dal suo posto. Ciò dispiaceva fortemente al gran ciamberlano. Perchè? Per la stessa ragione che consigliava all’Emma o alla Clarice di non ballare; perchè non voleva lasciare in pace nessuno. D’uomini cosiffattamente stucchevoli è abbondanza nel mondo, e noi ne conosciamo parecchi, senza punto saperci capacitare del perchè si sopportino.

Ora intanto che la marchesa Ginevra aspetta, e graziosamente accoglie i nuovi venuti, alzandosi per le donne e porgendo loro la mano, lasciando giungere gli uomini e dicendo cortesi parole ai noti amici che fanno atto di sudditanza e ai nuovi che le presenta il marchese Antoniotto; intanto che procaccia qualche conoscenza alle dame forestiere, o raccomanda questa o quella ai cavalieri più compiacenti che si butterebbero nel fuoco per obbedirla; andando a venendo insomma con una grazia da regina, noi ci proveremo a farvi questa benedetta dipintura della bellissima donna.

Enrico Pietrasanta aveva ragione: i capegli della marchesa Ginevra erano castagni, fini ed abbondanti, e, rischiarati in diverse guise dai riflessi della luce, componevano quasi un’aureola intorno ad un bel viso bianco perlato, alle carni stupende, senz’ombra di rosso o di giallo, senza soverchio di grassezza, che vincevano al raffronto la celebrata carnagione della Enrichetta Corani.

Si poteva dir quasi che di quelle chiome copiose ella non sapesse che farne, dacchè era costretta a serrarle in lunghe trecce, le quali, tuttochè ravvolte in giri molteplici, le scendevano pur sempre sul collo più giù che non comportasse la moda.

Ma questo non era poi un difetto, e ognuno, al vedere quell’ampio