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persona, con una testolina che avrebbe potuto servir di modello al Canova, tanto ne erano fini e delicati i lineamenti. Ma se il Canova era morto, viveva il Duprè, che nel busto della marchesa Erminia aveva saputo dar vita ad un vero capolavoro, quantunque il marmo non avesse potuto ritrarre tutta la profonda virtù di quegli occhi, che parevano metter scintille. Certe movenze del capo e della mano asciutta e sottile, accennavano una donna d’animo forte, nata per comandare altrui. Ma quanto più robusta era la tempera, tanto più era fine; e perchè il gusto era eletto, cortese il pensamento, il comando riusciva dolcissimo, come quello che si volgeva sempre alle cose buone e gentili. La Lercari era colta e studiosa, e cotesto appariva facilmente, senza che ella pure il volesse, in una società come la nostra, dove le donne di consueto sono così poco addestrate nelle severe discipline, e gli uomini (diciamolo a nostra vergogna) anche meno. Però si sarebbe potuta paragonare a Minerva, come cento e dugento anni innanzi una di quelle mogli di dogi e senatori, le quali dettavano versi e prose, disputavano coi dotti, ed erano del pari ottime madri di famiglia, savie e cortesi matrone, che con la schietta bontà dei modi temperavano l’alterezza dei loro accigliati mariti.

Chi di noi vorrebbe oggi tornare a quei tempi in cui il popolo era servo, o poco meno, di quelli ottimati, e la repubblica stessa altro non era che un cadavere coperto di seta? E tuttavia que’ tempi si ricordano con affetto, la mercè di quelle belle e colte marchesane che il pennello del Vandyck ha tramandate alla nostra ammirazione, buone e pietose, con tutta la durezza che conferiva ai loro volti la gorgieretta insaldata a cannoncini e il taglio delle vesti spagnuole. Non altrimenti le Corti di amore, i colori della dama valorosamente portati in Palestina e l’ambito premio del torneo, ci rappattumano colle feroci memorie del Medio Evo. Quid foemina1 possit....

Ma torniamo alle nostre gentildonne in casa Torre Vivaldi. La signora Maddalena Torralba era anche essa degna di ammirazione, per quei suoi grandi occhi azzurrognoli, per le carni del color del latte, per la soavità del volto. Era una di quelle donne che si dicono molto acconciamente impastate di bontà, tutta dolci pensieri significati con dolci parole da una voce melodiosa, sebbene un tal po’ gutturale. Un cercatore di contrasti, ne avrebbe trovato uno bello e fatto, considerando la Torralba, seduta accanto all’amica sua, la Fulvia Cassana, che era la marchesa più bruna di

  1. Nell’originale fæmina.