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dava assai più che non ricevesse da altri. E la Cisneri lo sapeva benissimo, che, la mercè della sua vecchia amica, cugina del marchese Antoniotto dal lato materno, era stata invitata alla festa dai Torre Vivaldi.

Il nostro conte palatino si affrettò, con savio accorgimento, ad offrire il braccio alla nobile Ottavia. Il marchese Tartaglia si dinoccolò per offrire il suo alla Matilde, e tutti e quattro, gloriosi e trionfanti, salirono le scale.

Lorenzo Salvani, nascosto nella folla, ebbe agio di vedere tutta la scena e udire per giunta le chiacchiere degli sfaccendati, che tagliavano i panni addosso a quelle nobili persone.

Colla falda del cappello aggrondata sugli occhi, il colletto del pastrano alzato fino all’orecchio, egli era andato ad appostarsi colà, per vedere anche una volta la bella Matilde. Ultimo guizzo d’una lucerna che si spegne, ultima ubbìa d’un povero amante lasciato in asso!

Il cuore gli si strinse, quando vide Matilde, saltar leggiera e contenta dallo smontatoio sulla soglia del portico; gli occhi mandarono lampi, quando scorse l’Alerami.

- Domani; - borbottò egli tra sè. - Domani, se non siete un codardo.... -

Matilde era sparita col marchese De’ Carli, e Lorenzo vide ancora la vecchia gentildonna che le teneva dietro, appoggiata al braccio del conte palatino.

Su per le scale marmoree del palazzo Vivaldi era una luce vivissima. Numerosi servi in livrea e guanti bianchi stavano nella sala d’ingresso, che era pittorescamente ornata di fiori e piante tropicali, come le stufe dei nostri giardini.

Di là s’entrava in una fila di sale stupende, le quali giravano tutto intorno il piano nobile del palazzo, ricche delle tele, degli affreschi e degli ornati dei più famosi artisti.

Quelle sale, giusta l’antico costume dei signori italiani, portavano il nome delle divinità pagane che la fantasia del pittore aveva effigiate nella volta. Epperò in quella sontuosa dimora dei Vivaldi si notava il salotto di Cerere, dell’Aurora, di Diana, delle Muse e di Flora; divinità tutte rappresentate in altrettanti medaglioni a buon fresco, e accompagnate dai loro emblemi; storie particolari e scene simboliche negli altri scompartimenti e lunetti della sala.

Per tal modo gl’intendenti di cose artistiche potevano ammirare le opere del Semino, del Carlone, del Tavarone e d’altri buoni frescanti della scuola genovese, le quadrature dell’Adrovandini, le prospettive degli Haffner, e gli ornati recenti