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non gli premeva punto di sapere il perchè, sebbene quest’uno sapesse il suo. Di questo modo si accordarono presto.

Il padre Bonaventura, messo al chiaro di ogni cosa dai racconti solleciti del Bello, aveva veduto d’un subito il gran profitto che si poteva cavare da un Don Giovanni scornato e picchiato, desideroso di vendetta e corto d’ingegno per giunta. Poi che lo ebbe giudicato di veduta, si raffermò nel proposito, e in quella che l’altro si lasciava andare a lui come la biscia all’incanto, nacque in mente al padre Bonaventura quel disegno infernale che vedremo uscir fuori tra breve.

In quanto ai denari che Michele chiedeva a prestanza dal Bello, questi avrebbe pure voluto darglieli subito. Ma il padre Bonaventura, anco ammettendo, giusta il parere del Bello, che quell’imprestito gli avrebbe reso Michele più maneggevole, aveva saviamente notato che i denari potevano migliorare lo stato di casa Salvani, e che anzitutto occorreva abboccarsi col Ceretti. Aspettasse dunque, e facesse aver pazienza a Michele.

Ma dopo aver parlato col biondo Arturo, entrava anche meno nei disegni del gesuita di metter fuori le dugento lire. La pigione era stata pagata; nè Arturo, ne il padre Bonaventura, per quanto si stillassero il cervello, potevano indovinare donde fosse caduta a Lorenzo Salvani quella pioggia di Danae.


XXII.

Degli apparecchi che fece la contessa Cisneri per andare ad una festa da ballo

Le necessità del nostro racconto ci conducono da capo in casa della contessa Matilde Cisneri.

Era lo stesso giorno in cui Lorenzo aveva pagato il suo debito al padrone di casa, e sebbene fossero già scoccate le nove di sera, la contessa Matilde era nel suo spogliatoio; santuario della bellezza, dove non era penetrato altri che il gran sacerdote, o vogliam dire il parrucchiere. Ma già il gran sacerdote era partito, dopo aver acconciato mirabilmente i biondi capegli della diva, e sottentrava la sacerdotessa,