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portarli a dirittura giù a quel brutto muso del padrone di casa? Gli ha già sentito il peso delle mie dieci dita, e non sarà forse male che io gli metta fuori un marenghino per dito, a mo’ di consolazione. Sì, certo, farò così; se non gli garba, mi rincari il fitto, che intanto non s’ha voglia di rimanerci molto, nella sua casa! -

Questi pensieri lo tennero in aria fino alle due dopo il mezzodì. Era quella, se i lettori rammentano, l’ora del ritrovo col Bello; e il nostro Michele, per non far aspettare l’amico, s’era andato ad appostare mezz’ora prima sotto i portici del teatro Carlo Felice.

Ma aspetta, aspetta, il Bello non veniva. Michele ad ogni tratto si affacciava alla invetriata della bottega da caffè del Teatro per misurare sull’orologio, che era presso il banco della padrona, il cammino del vecchio alato che ha la falce e la clessidra in mano. Il tempo passava; erano già le due e un quarto, e l’amico non si vedeva spuntare da nessun lato.

Aspettare e non venire è una cosa da morire; così dice il proverbio. Ora, se Michele non moriva, certo era in agonia, e se non mandava pel prete, si votava per contro a tutti i diavoli dell’inferno. Vennero le due e mezzo, ed egli era ancora a recitare sotto i portici il paternostro della bertuccia. Ma allora andò fuori dei gangheri, e dopo aver dubitato dell’amicizia in genere e perfino di quella esemplarissima di Oreste e.... e aiutatelo a dire, si mosse per tornarsene a casa. Se egli avesse saputo dove stava di casa il Bello, sarebbe andato a cercarlo; ma non sapendone nulla, pensava di ricattarsi la sera in qualche sala da biliardo, o in qualche osteria, dove bazzicava l’amico.

Il nostro Michele non si sarebbe doluto tanto di non vedere il Bello, se avesse saputo perchè la sua padroncina era contenta, quando egli s’era alzato da letto.

Abbiamo narrato nel capitolo precedente che Lorenzo Salvani, uscendo di casa, era andato a’ Banchi per salutare l’Assereto. Quello non era un amico dei soliti, un amico del buon tempo, e Lorenzo poteva dire di lui come Beatrice di Dante: «l’amico mio e non della ventura». L’Assereto aveva notata la tristezza di Lorenzo, e lo aveva tanto incalzato di affettuose domande, che questi gliene aveva detta finalmente la cagione.

L’amico non era ricco; ci correva anzi di molto! Sudava le intiere giornate per tirarla innanzi onestamente, e non aveva i gruzzoli di monete, da far comodo altrui. Ma egli era, come i lettori sanno, un ottimo giovanotto ed aveva molti