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— Che! veda piuttosto. —
Così dicendo le squadernai sotto gli occhi il volume, avendo essa le mani impacciate e non amando io che quelle mani, per quanto gentili, battezzassero il mio poeta, pagano nella vita e nell’arte; e già anglicano nell’edizione, se mai.
— Sis licet felix ubicumque mavis, — lesse ella, accostando la sua faccia a quelle del libro, — et memor nostri, Galatea, vivas.... Che cos’è? latino? Capisco ora perchè si fosse addormentato il lettore.
— Oh! — gridai. — Non faccia questo torto ad Orazio, nè a Galatea, il cui bel nome le è capitato sott’occhio. Mi ero addormentato qui, perchè avevo dormito poco stanotte.
— Ha ballato? — mi chiese, ammiccando.
— Io! Le pare?
— Ah, sì, è vero; non son cose per Lei, che è... se lo lascia dire?
— L’orso di Corsenna? Dica pure liberamente.
— Come lo sa?
— L’innocenza ha parlato, per bocca del