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com’era là, vestita di tutto punto, sì buttò in acqua e mi afferrò per una mano, tirandomi forte a sè, fuori della corrente. Descrissi, io credo, un mezzo cerchio nell’acqua, e mi ritrovai vicino allo sportello della cateratta, al cui anello di ferro fui pronto ad aggrapparmi, colla furia disperata del naufrago.
— Sì, bravo, respiri; — -mi disse Galatea, ridiventata ninfa marina per me, quantunque in acqua dolce. — E adesso, se può nuotare adagino....
— Nè adagino, nè altrimenti; — risposi. — Ho le mani intormentite da certi colpi dell’altra settimana, e m’è tornato il dolore, acutissimo.
— Anche il duello ci voleva! E facciamo altrimenti. Veda di attaccarsi ad un lembo della mia veste; così, leggero leggero, per non tirarmi sott’acqua, che s’affogherebbe in due. Nuoterò io; ma Lei si tenga quanto più Le vien fatto rasento all’argine, e spinga coi piedi. Non avrà mica intormentite le gambe. Bravo, così va bene; avanti sempre.
— E voi tacete di lassù, perfido cane; —