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l’acqua, che era alta almeno un uomo e mezzo in quel punto.
Che cos’era? Un’alzata d’ingegno di Buci. Il nostro buon cane era stato modestamente il terzo, finchè Galatea era stata seconda. Ma come ebbe veduto lei farmisi avanti e correr veloce sull’argine, il signor Buci non istette alle mosse, volle esser lui il secondo, e si cacciò avanti senza badare a me, suo legittimo padrone e degno del massimo rispetto, non foss’altro, per le venti lire che avevo buttate via, a riscattarlo dalla schiavitù di Corsenna. Si cacciò avanti, ho detto; il sentiero bastava appena per me, ed egli strisciò contro le gambe mie, proprio al momento che io levavo il passo per correr dietro alla mia fuggitiva. Così avvenne che io perdessi l’equilibrio, e mi ritrovassi in acqua prima di aver visto il pericolo.
Al tonfo che io feci si volse Galatea, e mise un grido di spavento. Ma il grido non poteva far niente al caso mio. Piuttosto poteva giovare il consiglio che ella mi gittò, in mezzo ai latrati di Buci.