Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 349 — |
mi par d’essere quel tale, che uscito fuori convalescente dagli ardori e dai delirii d’una febbre da cavalli, ricomincia a sentir l’allegrezza del vivere, poichè dalla finestra riaperta penetra una buona corrente d’aria fresca nell’afa e nel viscidume della sua stanza d’infermo.
Oggi sono andato fuori, la prima volta dopo tanti giorni, per far qualche visita; lento, a piccoli passi, col mio bastoncino di città, rinunziando alle mie mazze babilonesi di ridicola e dolorosa memoria, facendomi più debole di quello che veramente io non sia, e fermandomi volentieri ad ogni svolta della strada campestre. La prima stazione del mio viaggio di gratitudine, un po’ per riguardo alle conoscenze più antiche, un po’ per avvezzarmi all’ufficio e procedere per gradi, dal minore al maggiore, è stata dalle Berti. La voluminosa Giunone e le sue tre graziose figliuole m’hanno fatto una festa da non dirsi.
— Ma che idea è stata la loro, di far della scherma senza le maschere? — mi ha detto