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smettere via via, non passando più dai casolari dove incontravo quei cari amici, che a certe ore mi usavano la cortesia d’aspettarmi sugli usci. I padroni non vedevano volentieri queste amicizie dei guardiani di casa col signor forestiero; ed io, che ho capita la solfa, ho diradate le visite. L’ultimo dei miei amici di qui è stato Buci, il cane più stravagante di Corsenna. Piccolo e tozzo, di pelo rossigno con una macchia bianca dall’occhio destro al naso, gli occhi rossi, mozzate le orecchie e la coda, non è davvero l’Adone dei cani; ma ride, e ciò lo rende piacevole a vedere; ride, arricciando con atto strano il labbro superiore e mostrandomi tutti i suoi denti, corti, serrati, sani e bianchissimi. S’intende che ride con me e con altri pochi a cui vuol bene; sa ringhiare, per contro, e ringhia volentieri a molti, specie agli altri cani, volendo battaglia con tutti.
— Buci, che cosa sono queste scenate? — gli ho detto io qualche volta. — Non è da cani addentare il proprio simile, ricordatelo bene, è da uomini. Voi siate buono, affabile,