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tato, e bada a noi colla sua solita flemma; io non odo più altro che il respiro affannoso dei miei polmoni e di quelli del mio avversario, in cadenza colla rovina dei colpi. E a poco a poco mi mutan colore le cose; incomincio a veder rosso, sempre più rosso nell’aria, e in mezzo a quel balenio di randellate che paiono tante linee intrecciate nell’aria, gli occhi spalancati di Filippo Ferri, che mi sembrano quelli di un grosso ragno appiattato tra le fila concentriche della sua tela insidiosa. Sento e non sento il suo bastone toccar me; sento e non sento il mio toccar lui. Che importa oramai contare i colpi? Ai lividi si riscontreranno i conti, e si aggiusteran le partite. Non è più un combattimento, è un battibuglio, come alle nozze di Pulcinella. Ah sì, io che amo tanto le legnate dei burattini, ho qui il fatto mio. E ancora io addosso a lui, e lui a me, come due cani rabbiosi, che non ismettono per morsi che tocchino, per brandelli di carne che perdano. Quando siamo troppo sotto misura, balziamo indietro, o io, o lui, per saltarci addosso da