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sogna adattarsi. Ma si è in campagna, e non si guarda nel sottile; tanto più che la gente, venuta per goder l’aria, sta in casa il meno che può. La vita villereccia è gaia: fanno scarrozzate ai paesi vicini; non disdegnano la vecchia invenzione degli omnibus, rinfrescata col nuovo nome di tranvai, che permette di andare qua e là per pochi soldi, in dodici o quattordici persone. Fanno concerti, la sera, con gran giubilo e maraviglia di questi naturali; ballano anche, mi si dice, dove col pianoforte, dove coll’organino di Barberia, e dove coll’herofon, un nuovo strumento macinatore di musica; necessario, in verità, perchè di simili arnesi non ce n’era abbastanza.
Te ne parlo per sentita dire, non andando io in nessun luogo. Vedo le brigate, passando; cappellini e cappelloni, gonne e casacche, guarnelli e vestaglie, roste, sciarpe, ombrellini, tutto un rigoglio di colori sgargianti, tutto un miscuglio di cose; ma per lo più da lontano. M’imbatto nella gente quando vado alla posta, per ritirare i miei giornali, le poche