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avessi un poema da finire, e sperassi con fondamento di trovare un editore, lo butterei dalla finestra, il poema, solo per un sorriso della signorina Wilson.

— Che! come? — balbettai.

— Ma tu, fradicio di letteratura, non capisci più niente di niente; — continuò Filippo, infervorato nel suo ragionamento. — Ebbene, tanto meglio; sei uno di meno in giostra. Amo quella ragazza; e se mi riesce, la sposo.

— Ah sì?

— Certamente. Ma ecco, — soggiunge Filippo, rìdendo, — senza volerlo, si casca a ripetere il tuo dialoghetto col signor Enrico Dal Ciotto.

Eccoti dunque, mio caro Rinaldo, eccoti dunque il segreto dell’anima mia. Per una volta tanto, sono innamorato morto. E poichè tu vuoi avere tanta gratitudine per me, che non ho fatto niente o ben poco in tuo favore, e perchè, finalmente, una mano lava l’altra, mi farai la grazia di aiutarmi un po’ tu, con qualche buon discorsetto preliminare alla mamma. —