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lezza di Galatea. Voi ci avete la fosforescenza, bellezza di lucciola, a cui è necessario il contorno dell’ombra. Non dico che non siate bella anche al sole; parlo così per necessità di compiere il paragone; intendo di dire che alla vostra bellezza è necessario l’accompagnamento delle abbigliature, delle acconciature, degli artifizi della moda. Tutto vi sta bene egualmente, lo so; ma nel fatto non siete che un magnifico figurino, anzi diciamo uno splendido modello di vimini, fatto a pennello nei suoi contorni, per uso delle modiste. Quando si è capito ciò, non occorre più altro. E si capisce in capo a tre giorni; dopo il qual termine la vostra bellezza non dice più nulla ad uno che abbia conosciuto Galatea, cioè la donna vera e la ninfa, il frutto primaticcio che ha sapore in se stesso e non dallo zucchero in cui bisogna giulebbarne tanti altri, il flore che ha una fragranza sua, senza bisogno di opoponax e di pelle di Spagna. —
Che orrore! direste. Ma io, arrivato a questo punto vorrei proseguire: