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Ma quelli, come dispensarmi dal farli? Avrei voluto veder te, cavaliere garbato, quantunque briccone, se Donna Elvira o Donna Sol ti avesse ipotecato per iscriverle il prologo d’una accademia di beneficenza. Sarebbero stati versi diligentemente torniti, non è vero? versi sonanti, galoppanti a coppie, versi d’arte mayor, colla speranza di averne il premio, di dare il millesimo e quarto nome alla lista spagnuola del tuo servitore Leporello. Io ho scritto per niente, vedi; non avrei presa la penna, se ci fosse stata l’illusione del premio. Ma già, io sono un cavaliere indegno di te; fors’anche indegno di cantar le tue gesta, a quei carissimi posteri che danno tanto sui nervi a Filippo.

Questo prologo è stato il lavoro di una mattinata, e temo che sarà una birbonata senz’altro. Ma non potevo neanche tenermi troppo alto, lavorar di fine, che avrei dato nel difficile; e il difficile alla contessa Adriana non piace. Così è stata contenta; contenta lei, dovrebbero dichiararsi contenti anche gli altri. E poi, subito ai ferri. Tutti i giorni,