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testa. Filippo ha messo fuori le pistole, con una diecina di cariche, ed io l’ho tutto consolato facendogli quattro centri nella testa e cinque nel costato dell’avversario di legno. Un colpo solo dei dieci aveva sgarrato di due linee, rompendo sempre il mostaccio poco raffaellesco che mi aveva disegnato Filippo.

La pistola andava a quel dio. Si venne alla spada. Ma qui Filippo è troppo più forte di me; non riesco a dargli che due bottonate, contro dieci che ne tocco da lui.

— Va bene, va bene ad ogni modo; — mi dice egli, soddisfatto abbastanza dei fatti miei. — Hai bisogno di scioglierti il pugno. Perciò, caro mio, meno lavoro di penna, e lascia dormire il poema. —

Tra questi passatempi arriva l’ora del desinare. E dopo desinare, tanto per affrettare la digestione, quattro assalti di sciabola, con rispettive ammaccature. Qui sono più fortunato; lo tocco cinque volte, contro sei che ne consegna a me; ed ho anche la fortuna d’essere stato il primo a toccare, cosa che non m’era avvenuta alla spada. Ne son feli-