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non sia costume di darne, a Dusiana, o che fosse troppo forte la mia; perchè cinque minuti dopo venne il padrone a pregarmi di accettare per la staffa quattro bottiglie di vin buono. Buono, soggiungeva egli, perchè dolce e gentile, che di quello ne potevano ber le signore. E le signore, che avevano bevuto acqua pazza, fecero onore alla cortesia dell’albergatore garbato.
Sarebbe tempo, oramai, di andare a visitar l’abbazia. Per questo eravamo venuti a Dusiana, e non per dimenticarci a tavola. Si prende lingua, e si va: ma guai a lei, se non è stupenda; non siamo disposti a tollerar cose mediocri. Da lontano, l’edifizio si presenta bene, con una fronte severa; un po’ brulla, per verità, poco ravvivata da certe feritoie che non riescono a parer finestre: ma infine quello è lo stile longobardico, bisogna striderci; vedremo poi dentro. Ah sì, dentro, si è più fuori che mai; il tetto è crollato, gli archi in pezzi, i fianchi sfondati, tutto un mucchio di pietre e di calcinacci. O le colonnine a fascio? i capitelli lavorati? gli ar-