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che gradire che uno non mi saluti; ma che mi saluti male, mi annoia. Ho già pensato, del resto, a ciò che mi conviene di fare. Le lettere qui s’impostano alle sei di sera. Scriverò prima delle sei a Filippo.

La signora non vorrebbe andare, a Dusiana. Le occorrerebbe un’ora almeno per vestirsi. Inoltre, è un brutto giorno; un tredici. Lo dice ridendo, ma lo dice.

Io rido con lei, e la conforto ad andare. Il tredici secondo me non è altro che un numero il quale ha il torto di venire dopo il dodici e prima del quattordici. Del resto, non a tutti dispiace, non a tutti porta sfortuna. Io posso assicurare per mia esperienza che è un numero eccellente, un numero aureo. Tutte le cose che ho fatte in un giorno tredici mi sono andate benissimo.

— Ah sì? — esclama Enrico Dal Ciotto, strascicando anche la frase, come se la tirasse con l’argano.

— Certamente; — gli rispondo io, senza scompormi, e sul medesimo tono.

La contessa Adriana nota le pause e le in-