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i miei doveri di galateo. Così è; una volta imbarcati per questa vita da negri, che è la vita di società, bisogna bene curvar le spalle e adattarsi a coltivar canne da zucchero. Che cosa penserebbe dei fatti miei la contessa, se io non andassi a riverirla, a sentire da lei com’è finita, se ha avuto code o no, piccole noie per lei, la matta impresa di ieri? E che cosa direbbero i signori satelliti, se non mi vedessero comparire al Roccolo quest’oggi? Farei senza dubbio la figura del can bastonato, bastonato da lei, e pauroso di loro. Ah no, perdincibacco, non sarà mai.
L’idea di ciò che potevano dire i satelliti, mi ha messo di cattivo umore: il cattivo umore mi ha fatto mettere in armi. Siamo in guerra, combattiamo. E tanto per cominciare, esploriamo il terreno. Ieri mattina la contessa Adriana era uscita di casa alle otto, ora insolita per lei, bruciata per i suoi assedianti, che dovevano immaginarla non uscita ancora dalle sue camere. Essi, di certo, non usano andare che verso le undici alle loro batterie; infatti, a quell’ora, non avendola