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cere estivo, che si compra senza gustarlo, senza intenderlo, trasformandolo secondo l’uso della città. Dov’è strada piana, gli uomini portano la bicicletta; dov’è lago, il sandolino; da per tutto il lawn-tennis. In fin de’ conti, meglio così; la campagna è tutta per me. Sono miei i folti castagni del bosco; miei gli olmi e i salici, i fràssini e gli ontàni del fiumo; mia la borraccina delle balze, donde si levano gli argentei pennacchi dei cardi, rilucenti ad una spera di sole.
Questa campagna è bella, quantunque senza carattere. Salvator Rosa ci perderebbe l’ispirazione tormentata e robusta, Claudio Lorenese la sua placida e larga vena poetica. Non ci sono dirupi minacciosi, non classiche aperture d’orizzonti lontani. Così niente fa pensare, tutto fa vegetare; ottima cosa per me, che non ho più fantasia. Dov’è andata a finire? Sicuramente, l’ho fatta correr troppo. L’uomo ha le sue quaranta libbre di sangue e le sue quattr’once d’ideale: se egli sa farne un uso discreto, bene; se no, addio roba. Io non iscrivo più una riga. Il mio Don Gio-