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dirne tanto male nel salotto della contessa? Se fosse stata un’oca, pazienza, capirei; ma un povero cigno tiglioso e stoppone, via, non meritava tanta durezza di giudizio.

La contessa ha dovuto riprenderlo, e so che l’ha fatto con una grazia tutta sua, che non escludeva la forza. La contessa ha buon gusto; e se non sa certe cose, che importa! È tanto bella, che avrebbe perfino il diritto di non saper nulla al mondo. Mi ha invitato da capo al suo villino, ma non mi sono lasciato prendere. Galatea direbbe, e con ragione, che mi adatto a fare il quarto. Poi, quei tre compagni mi annoierebbero. So far bocca da ridere anche ai nemici, ma non sopporto i noiosi. In larga compagnia, all’aperto, son gocce d’inchiostro che s’affogano in un secchio d’acqua e non la tingono troppo: in un salotto, loro tre, su cinque presenti e sedenti, dovrebbero essere una morte sola, e continua.

L’altra sera la signora contessa ha invitata tutta la comitiva di San Donato a prendere il tè in casa sua. Anche qui mi sono scusato.