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del mio Paolo Heyse, il beniamino delle Grazie.
E poi, a che rovistar nelle ceneri? A che studiarsi di riannodare le fila di un romanzo interrotto? Non dice egli stesso che la sua felicità passata gli ha qualche volta tutta l’aria d’un sogno? Pur troppo la felicità non è tale, che a patto d’esser fugace, di passar come un sogno. Principio e fine esercitano una cattiva influenza sull’aspetto delle cose. Il cielo è per l’appunto così bello, perchè nelle sue azzurre profondità non lascia scorgere dove cominci e dove finisca.
Se l’uomo potesse incatenare la felicità, prolungare a suo talento il piacere, povera vita, a cui verrebbero meno tutte le sue sante pugne, tutte le sue feconde inquietudini! Chi stimola a progredire, se non è la speranza? E che altro è la speranza, se non il dolore presente che anela alle gioie future?