in assetto. A me, più d’ogni altra cosa, piacque il cortile, con quel suo porticato allo intorno, sostenuto da pilastri di marmo vagamente scolpiti, che così ad occhio e croce giudicai opera del quattrocento, o giù di lì. Nell’androne che metteva all’uscio di strada, notai una epigrafe, la quale diceva essere stata murata la casa sulle fondamenta d’un tempio a Giove Statore, per abitazione ad un famoso giureconsulto. Discordia civium, concordia lapidum, come dice un’altra iscrizione audace ed arguta ad un tempo, che un bell’umore d’avvocato moderno fece scolpire sull’entrata del suo palazzo. Tornando al giureconsulto bolognese, il suo nome si leggeva nell’epigrafe: Rolandino de’ Romanzi. Ottimo seguace d’Irnerio e di Bartolo, tu certamente non li avevi che nel nome, i romanzi: io, in quella vece, ne avevo uno alle mani, e il più bello tra tutti, come di re-