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A quella apparizione, la cadenza finale mi restò interrotta sul labbro; ma ben altra canzone intuonava il mio cuore. Un misto di allegrezza e di verecondia imporporava le guance della mia bella compagna, della mia fera, come l’avrebbe chiamata, e non al tutto fuor di ragione, un sonettista del seicento. Il suo sorriso, per altro, non avea nulla di sarcastico e ne’ suoi occhi si leggeva apertamente la contentezza che ella provava nel rivedermi. Il buon dì che mi gittò, in ricompensa del rossiniano saluto, mi suonò all’orecchio come una musica celestiale.

Mi avvidi, agli atti riguardosi con cui si era affacciata al balcone, stringendosi intorno al collo i capi della sua mantellina, come ella non fosse in grado di ricevermi.

— Aspetterò, — le dissi; — quando sarete vestita, mi darete un cenno, che io possa venire ad ossequiarvi, bellissima aurora.