Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 212 — |
aspettai. La madre e il figlio scendevano, seguendo la carraia, dalla parte opposta alla mia. Io allora a lavorar di calcagna lungo il rialto protettore; e giunto che fui allo scoperto dell’aia, quatto quatto scivolai in casa. Là dentro, cominciai, come era naturale, a far rumore; mi risciacquai liberamente alla secchia, come un uomo che fosse sceso allora allora di camera, e me ne venni fuori a canticchiare sotto il balcone della mia bella dormente la cavatina d’Almaviva: «Ecco ridente in cielo» con tutto quello che segue.
Ancora non avevo terminato, che la finestra si aperse e la sua testolina leggiadra mi apparve da un vano, che si scorgeva fra i tralci della pergola. Da quello spazio, per l’appunto, io m’ero calato la notte addietro, ed era stata ventura che, sospendendomi da quel palco mal fermo, io non avessi spezzato nulla, nè bronconi, nè tralci,