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riflessi tremolavano da tutte le foglie dei cespugli, scintillavano sui fili dell’erba, o guizzavano sulle acque chete della vasca; non era muta l’aria, scossa dall’operoso ronzìo degli insetti, o dal frullo delle libellule, volanti a guisa di frecce; non era muto lo stuolo delle cicale, che frinivano assidue dai tronchi degli alberi. Povere cicale! Tornano così moleste, quando ci si pensa; poi, a quel loro uniforme stridìo ci si fa tanto l’orecchio, che, quando per avventura si chetano, se n’ha come un senso spiacevole al cuore, e l’ora meridiana par morta. I Greci, popoli di artisti e di pensatori, le amavano; Anacreonte le celebrò da par suo in un soavissimo canto.

Il palazzo era una mole quadrata, a due piani, con cinque finestre di fronte, il tetto d’embrici, a quattro acque, col suo comignolo assai rilevato e le gronde molto sporgenti sulle